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Giovani e lavoro, quando il sogno incontra la crisi

giovani e lavoro

Il topic giovani e lavoro infiamma discussioni in ogni angolo della società occidentale. In Italia, in maniera particolare, dalle tribune politiche alle cene in famiglia, si pone l’accento sulla crisi e sul conflitto generazionale e potremmo snocciolare questo delicato argomento considerando come tesi la presunta lascivia delle nuove generazioni, ossia i nati degli anni 90’ e i Millennials.

Mentre come antitesi il nonnismo della società che ha tarpato le ali ai più giovani.

Secondo i dati Istat, la disoccupazione giovanile – considerata la fascia d’età dai 15 ai 29 anni – nel terzo trimestre del 2019 si attesta al 20.1%.

In pratica è disoccupato un giovane su cinque.

Il dato vede una confortante risalita, in termini di occupazione, negli ultimi anni. Ma resta ancora preoccupante.

Emigrare come prima soluzione

A questo va allegato anche il fenomeno dell’emigrazione, tornato ormai fortemente attuale.

I giovani che riescono a trovare un lavoro nella loro terra sono sempre di meno.

Il flusso migratorio dei giovani viaggia su due binari. Il primo conduce all’estero, l’altro invece trasporta sempre più meridionali verso le grandi città, soprattutto nel nord Italia.

Ne consegue un preoccupante spopolamento delle aree appenniniche che sta dissanguando gran parte delle regioni del centro-sud.

Sono in preoccupante aumento i paesi fantasma nel meridione.

Roghudi, Africo, Craco e tanti altri comuni sono stati totalmente abbandonati durante la seconda metà del 900’.

Piccoli gioielli incastonati sulle montagne, attualmente appaiono come un lugubre e al tempo stesso affascinante set cinematografico.

Chi sono i giovani che vanno via

Non sono soltanto i giovani laureati a mettere in campo le loro conoscenze e le loro energie lontano dalla terra natia.

Medesima, se non superiore, è la quantità di lavapiatti, camerieri (professionisti e non), pizzaioli o operai che vanno in forze all’estero. Soprattutto Francia, Germania o Inghilterra.

Città come Londra o Parigi sono estremamente costose. Spesso i giovani sopraccitati sono costretti a integrare i loro stipendi con soldi dei loro genitori.

Ma vanno comunque via. Perché “In italia non c’è lavoro”, “il sistema non funziona”, si sente dire da più parti.  Un triste ritornello.

Chi scrive non intende trarre conclusioni immediate o dare un giudizio lapidario. Ciò che ci interessa è esaminare il fenomeno.

È importante specificare che l’articolo si rivolge a chi emigra per esigenza. Non ci si rivolge a chi si sposta per rincorrere nuove esperienze o imparare nuove lingue.

Che l’esaminato sia laureato o no  ci chiediamo – è davvero necessario?

Un passo indietro: il sogno

Gettiamo l’amo indietro e andiamo al principio.

Sono nato nel 1992 e, facendo parte della generazione di cui parliamo, non posso che filtrare il mio pensiero con la mia esperienza.

Siamo nati in un periodo di estrema fioritura economica, perdurata come sappiamo fino alla crisi sistemica mondiale del 2008.

Siamo nati con Jurassic Park, tra i cartoni animati giapponesi e le letterine. Abbiamo assistito alla nascita della PlayStation e dei DVD, poi degli smartphone e del digitale.

Alla stragrande maggioranza dei miei coetanei non è mai mancato nulla: cibo, vestiti, viaggi, televisioni nuove e partite in alta definizione.

Tutto quello che ho scritto, setacciando e riducendo i fattori, si riassume in un unico, grande concetto: il sogno.

Siamo cresciuti sognando, perché il sogno era ovunque intorno a noi.

Abbiamo sognato di diventare quello che vedevamo ogni giorno: astronauti, scienziati, calciatori, attrici, modelle, scrittrici.

Il sogno ti fa vivere, ti fa combattere. È il carburante più potente che si possa avere.

La realtà, tra gavetta e aspirazione

Quello che probabilmente molti di noi hanno fatto, però, è stato un grosso errore di valutazione.

Abbiamo creduto che l’oggetto del nostro sogno ci fosse dovuto, che si sarebbe materializzato immediatamente una volta terminata la nostra formazione, universitaria o di qualsiasi altra natura.

Abbiamo considerato davvero l’idea di essere giovani, ricchi e bellissimi come Leonardo Di Caprio o Cristiano Ronaldo.

Sì, parliamo di persone realmente esistenti. Ma determinate concessioni esistono statisticamente solo per pochi eletti.

In questo modo si è trascurato il bagno di sangue che può esserci prima. O, semplicemente, si è ignorata la celebre e famigerata gavetta.

Si può verosimilmente fare per lunghi periodi un lavoro che non ci piace, arrivando lo stesso al traguardo che ci siamo prefissati.

Anzi, si deve. Bisogna accettare paghe umili, bisogna sporcarsi le mani. Bisogna scendere a patti con la realtà.

Soprattutto è fondamentale procedere con passione, solo in questo modo ci sarà possibile affrontare stress e sacrificio, al fine di raggiungere il nostro obiettivo finale.

Anche nei periodi del boom economico i giovani non furono di certo esonerati da questi obblighi.

Basti pensare agli artigiani: imparavano il mestiere facendo i garzoni. Di fatto lavorando gratuitamente anche per anni.

Giovani e lavoro: combattere per riuscire

Certo non viviamo in uno Stato perfetto, tutt’altro. Ma questo non ci giustifica. Non possiamo dare la colpa alla società se non troviamo il nostro abito su misura.

Dobbiamo combattere, provare e riprovare.

Il vestito sarà troppo stretto oggi, sgualcito domani. Avrà una toppa brutta a vedersi dopodomani. Ma prima o poi lo indosseremo da re.

E sì, spero che combatteremo nel nostro Paese e non altrove. Perché sicuramente si può fare, perché ci ha dato tanto e adesso chiede aiuto.

Vi lascio quindi senza una vera conclusione. Ma solo con un invito, magari un’illusione: aspettare, sopportare e poi, infine, riuscire.

Commenti dei lettori (2)

  • Iacopo Casadei ha scritto:

    I dati istat escludono gli studenti, che sono il 60% dei giovani su .

    Dei rimanenti il 20% è disoccupato, ovvero poco più di 1 giovane su 10, e non non due, la metà di quanto affermato nell’articolo.
    Questo l’Istat lo ripete da 5 anni ai giornalisti.

    I giovani nati dal 2005 non sono Millenials, ma iGen.

  • Adriano Carà ha scritto:

    Nell’articolo c’è scritto chiaramente che i dati presi in esame sono del 2019. In ogni caso, oltre le correzioni, che opinione esprime?

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