I mestieri di una volta: i lavori che gli italiani non vogliono più fare

Una grande quantità di professioni, molte delle quali storiche, legate ai territori e alla cultura, rischiano fortemente di scomparire. Si è stimato che nei prossimi dieci anni si potrebbero perdere 385.000 posti di lavoro con la conseguenza di modificare l’assetto professionale e culturale dei territori stessi. Le proiezioni non risparmiano soprattutto il settore dell’agricoltura. I giovani, si avvicinano sempre meno alle professioni manuali sia perché queste non presentano più un mercato sia perché poco redditizie.
In questa situazione diventa difficile essere positivi, anche a causa di uno stato iperburocratico che soffoca con leggi e tasse la libera iniziativa di lavoro dei suoi cittadini. Molte imprese sono così costrette a chiudere i battenti lasciando dei vuoti culturali che non possono essere colmati.
Ma il vuoto culturale dura da più di 30 anni, ed ha portato alla mancanza di ricambio generazionale e di conseguenza alla morte di una serie di professioni, che significa anche la morte delle scuole professionali, la mancanza di un futuro per i giovani e dell’impoverimento dei territori, mettendo a rischio anche l’industria turistica.
L’esigenza di rivalutare il lavoro manuale
Ciò di cui si sente l’esigenza è di rivalutare, da un punto di vista sociale, il lavoro manuale e le attività imprenditoriali che offrono queste opportunità. Per molti genitori far intraprendere un mestiere al proprio figlio presso un’azienda artigiana è denigrante.
Si arriva a questa decisione solo se il giovane è reduce da un fallimento scolastico. Bisogna fare una vera e propria rivoluzione culturale per ridare dignità, valore sociale e un giusto riconoscimento economico a tutte quelle professioni dove il saper fare con le proprie mani costituisce una virtù aggiuntiva che rischiamo di perdere. Cio vale anche per il turismo e la ristorazione.
Formazione: la scuola si adegui al mondo del lavoro
Per questo è necessario avvicinare la formazione scolastica al mondo del lavoro ad esempio attraverso una riforma seria della scuola italiana. Ma il mondo del lavoro in Italia già sta subendo una trasformazione storica.
Le ultime modifiche della Riforma Fornero riguardano intervalli più brevi tra un contratto stagionale e l’altro e agevolazioni per i contratti di apprendistato. Sono stati introdotti anche nuovi criteri per stabilire se una partita iva è autentica o no.
I criteri di redditto e monocommittenza verranno calcolati su due anni invece che su uno e la mobilità come prevista dalle vecchie regole rimarrà in vigore fino al 2014, mentre per l’anno 2013 verrà garantita la possibilità per i lavoratori che beneficiano di ammortizzatori sociali di offrire prestazioni di lavoro accessorio in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, con un limite di 3000 euro.
Anche i tempi per l’aumento delle aliquote previdenziali per le partite iva e i co.co.pro (rimane al 27% per il 2013, sale al 28% per il 2014, sarà al 33% a decorrere dal 2018) saranno allentati.
Riforma Fornero e perplessità
La principale novità di una riforma che, doveva garantire un migliore e rapido accesso dei giovani al mondo del lavoro e che invece ha perso il suo spunto iniziale, rimane l’articolo 18. Addirittura il quotidiano economico americano Financial Times ha scritto che la battaglia sul lavoro in Italia “è stata combattuta più sul tema della protezione dei dipendenti prossimi alla pensione, che su come far entrare i 600 mila giovani disoccupati nel mercato del lavoro“.
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