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Turismo e occupazione: la pandemia cancella il 26% dei posti di lavoro

Che il 2020 fosse un anno da dimenticare, sul fronte economico, lo si era ormai capito. Il Covid e le restrizioni imposte per arginare la pandemia hanno avuto forti ripercussioni.

A risentirne direttamente è stato anche il settore turistico, in particolare per quanto riguarda l’occupazione, come già emerso da un’indagine di cui abbiamo scritto lo scorso febbraio – Lavoro Estate, Covid e turismo: ecco com’è andato il 2020.

Ma, volendo fare una stima precisa, di che numeri stiamo parlando?

A questa domanda risponde lo studio promosso dal Federalberghi e Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi – realizzato in collaborazione con EBNT – Ente Bilaterale Nazionale per il Turismo. Report basato sui dati diffusi dall’INPS.

Il quadro che emerge da questa indagine non è incoraggiante, e fotografa il 2020 come l’anno peggiore dell’ultimo decennio. Con i suoi 953mila occupati, infatti, il 2021 si attesta allo stesso livello del 2011. Questo quando nel 2019 il settore vantava ben 1,3 milioni di occupati. In tutto, quindi, 346.964 lavoratori in meno.

Ad avere la peggio sono state le donne (con 183mila posti di lavoro persi, seguite da giovani e stranieri) con un calo dei posti di lavoro del 30% e delle giornate lavorate del 40%.

Il quadro d’insieme

Con il passaggio dai 1.300.512 lavoratori del 2019 ai 953.548 del 2020 si è registrato un calo occupazionale del 26,7%. Le giornate retribuite, invece, sono diminuite del 37,9%.

L’età media dei lavoratori è stata di 37 anni, ed il 58,9% della forza lavoro complessiva aveva meno di 40 anni. Nonostante la riduzione rispetto al 2019, anche nel 2020 a farla da padrone sono state le dipendenti di genere femminile: 52,5% contro il 47,5% di dipendenti uomini.

Gli stranieri sono stati il 23,7% rispetto al totale.

Il lavoro a tempo parziale (56,1%) ha superato quello a tempo pieno (43,9%).

Per quel che riguarda i differenti settori, a riportare la flessione maggiore è stato il segmento dei pubblici esercizi, che ha perso 243mila occupati, seguito dalle strutture ricettive (92mila), dall’intermediazione (10mila) fino alle strutture termali e ai parchi divertimento.

È diminuita anche la dimensione media delle aziende: da un organico di 6,5 dipendenti si è passati ai 5,5 del 2020. Nel dettaglio, il settore ricettivo ha dato impiego a 7,8 persone, quello termale a 26,3, quello dei pubblici esercizi a 5,2, l’intermediazione a 5,8 e i parchi divertimento a 6,2.

Numericamente, ciò si traduce in 142.351 lavoratori impiegati nel comparto dei pubblici esercizi, 21.810 lavoratori nel comparto ricettivo, 4.004 nell’intermediazione, 221 in quello termale e 149 nei parchi divertimento.

Livello professionale, gli impiegati hanno pagato il prezzo più alto

Il numero degli apprendisti ha subito un calo di 21.919 unità: dalle 100.752 persone del 2019 si è giunti alle 78.833 del 2020. Così distribuite: 8.008 nel ricettivo, 69.079 nei pubblici esercizi, 1.529 nell’intermediazione, 150 nei parchi divertimento e 67 nel termale.

Per gli operai le cose non sono andate meglio. Con il 27,5% di forza lavoro in meno sono stati la categoria che ha pagato il prezzo più alto. La flessione è stata di 294.031 unità. Nel 2020 sono scesi a quota 773.917, rispetto ai 1.067.948 del 2020. Di questi, 640.030 hanno lavorato nei pubblici esercizi, 128.011 nel ricettivo, 3.054 nel termale e 638 nei parchi di divertimento.

Tra le fasce più colpite c’è anche quella degli impiegati. Nel 2020 si sono persi 30,5 mila dipendenti e 1,1 miliardi di giornate retribuite (ovvero, rispettivamente, il -24,3% e al -37,5%). Se nel 2019 erano 125.799, nel 2020 sono stati 95.251. Il volume di forza lavoro più consistente è stato assorbito dal segmento ricettivo, con 38.943 lavoratori, seguono i pubblici esercizi (35.323 unità), l’intermediazione (18.136) il termale (2.663) e i parchi divertimento (186).

Anche i livelli dei quadri e dei dirigenti hanno subito delle perdite, ma più contenute. Per i primi si è passati dai 5.064 lavoratori del 2019 ai 4.651 del 2019, così suddivisi: 2.017 nei servizi ricettivi, 1.790 nei pubblici esercizi, 771 nell’intermediazione, 60 nel termale e 12 nei parchi di divertimento.

Per il segmento dei dirigenti, invece, delle 790 unità del 2019 ne sono rimaste attive 765. Di queste, il settore dei pubblici esercizi ne ha impiegate 331, quello ricettivo 273, l’intermediazione 113, il termale 29 e i parchi di divertimento 19.

Tipologie contrattuali, peggio stagionali e lavoratori a termine

Analizzando la situazione dal punto di vista delle tipologie contrattuali, la perdita peggiore c’è stata per i contratti a termine e quelli stagionali, che hanno subito una riduzione del 40,4% ed il 31,2%. Che si traduce in 203 mila dipendenti in meno.

Sul fronte del lavoro a tempo determinato, si è passati dai 360.621 del 2019 ai 214.780 del 2020 (186.822 pubblici esercizi; 25.420 ricettivo; 1.806 intermediazione; 538 termale; 195 parchi di divertimento).

Per i contratti stagionali, si segnala un calo di 59.647 contratti: da 185.000 a 127.353 di cui 66.196 inseriti nel comparto ricettivo, 59.186 nei pubblici esercizi, 842 nell’intermediazione, 791 nel termale e 339 nei parchi di divertimento.

È andata meglio per i contatti a tempo determinato, che comunque hanno avuto un taglio del 19,1% degli occupati e del 34,6% delle giornate retribuite. Per tale tipologia, il 2019 si era attestato su 54.891 lavoratori assunti (58,0% del totale), mentre il 2020 si ferma a 610.758 (64,1% del totale). In questo ambito, il settore con più impiegati è stato quello dei pubblici esercizi (500.234 unità), seguito da settore ricettivo (85.385), intermediazione (20.123), termale (4.544) e parchi divertimento (471).

I contratti intermittenti hanno visto un calo del 40%: dai 143.159 lavoratori interessati si è arrivati a 89.757.

Per i part time, invece, sono andati persi 162.750 contratti. Se nel 2019 erano 698.161, sono diventati 535.411 nel 2020.

Chi sono gli occupati: focus su età, sesso, nazionalità

Il report ha analizzato il dato occupazionale anche in base ad altre variabili. Ossia le caratteristiche demografiche.

Relativamente al sesso, quel che emerge è che nel mondo del turismo il numero delle lavoratrici donna (52,5%) supera quello degli uomini per 501.058 unità contro 452.490.

La percentuale raggiunge il picco di concentrazione nell’intermediazione (72,2% per 16.438 lavoratrici). Poi viene il settore termale col 60,3% (3.539 impiegate), poi il ricettivo (54,7% per 96.901 lavoratrici), i pubblici servizi (51,4% per 383.731 operatrici) e infine i parchi di divertimento (44,8% con 450 lavoratrici).

Quanto all’età, l’indagine evidenzia che quella media dei lavoratori del mondo del turismo è di 37 anni. Si parte dai 35 anni di chi opera nei parchi divertimento, ai 36 dei lavoratori del ramo pubblici esercizi, ai 41 di comparti del ricettivo e dell’intermediazione, fino ai 46 del settore termale.

La pandemia si è abbattuta prevalentemente sui giovani. Gli under 20 hanno visto un calo dei posti di lavoro del 37% e una riduzione delle giornate lavorate del 42,9%. Per la fascia compresa tra i 20 e i 30, invece, la flessione è stata del 28,1% per il numero di posti e del 39,2% per le giornate lavorate.

Come già anticipato, i lavoratori stranieri sono stati tra quelli che hanno risentito maggiormente dell’emergenza sanitaria.

Nel 2019 erano 324.775, nel 2020 solo 226.450: la perdita è stata del 30,3% sul fronte del numero di posti lavorativi e del 41,9% per quel che concerne le giornate retribuite.

Il maggiore impiego di operatori stranieri si è visto nel segmento dei pubblici esercizi, con 178.185 unità (78,7%), a cui hanno fatto seguito il ricettivo (45.858), l’intermediazione (1.903), il termale (395) e i parchi di divertimento (109).

Dove e quando: i dati sulle aree geografiche e la stagionalità

Nel 2020 il numero massimo di impiegati nel turismo si è avuto nei mesi estivi. Ad agosto e luglio i lavoratori ‘in servizio’ sono stati 1.274.403 e 1.217.178.

I mesi del lockdown, come era facile prevedere, sono stati quelli con l’occupazione al minimo. Ad aprile e maggio erano impiegate solo 395.077 e 653.336 persone. Nel 2019, invece, i livelli non si erano mai abbassati sotto il limite del milione di occupati.

Un andamento simile lo hanno vissuto le aziende: quelle attive ad agosto sono state 204.025, a luglio 200.140. I dati peggiori ad aprile con 89.892 imprese in attività.

Le regioni che sono andate meglio sono state la Lombardia (171.606 occupati), l’Emilia Romagna (99.568 dipendenti), il Veneto (93.962), il Lazio (90.229) e, più distanziata, la Toscana (65.578). Complessivamente, in queste cinque realtà il 2020 ha portato via quasi 200mila posti di lavoro.

Più in generale, il Centro Italia ha avuto una perdita del 29,6%, il Nord Ovest il 26,6%, 25,8%, il Sud e le Isole il 25,3%.

Andando a verificare a livello provinciale, le aree che hanno mantenuto i livelli occupazionali turistici più elevati sono state quelle di Milano (80.108 lavoratori su 953.548 dipendenti totali), Roma (72.276 dipendenti), Napoli (34.142), Bolzano (26.033) e Torino (25.705).

Venezia, che nel 2019 aveva 37.332 lavoratori del settore turismo, nel 2020 è addirittura uscita dalla top five, avendo dato impiego a soli 24.237 dipendenti.

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